Un pezzo di montagna in mezzo al mare. Uno scoglio bianco ammantato di verde, piantato nel blu. È Marettimo, la terza isola delle Egadi, quella che nessuno si ricorda perché in pochi la conoscono, quella che scorgi per ultima sullo sfondo, ma che supera le sorelle in altezza. Bagnate dallo stesso mare, figlie di ere diverse: Marettimo si è staccata dal continente prima di Favignana e Levanzo, un’autonomia certificata da una flora e una fauna endemiche straordinarie, oltre che dalla profondità dei fondali.
Qui il vento e il mare spingono forte, affettano gli scogli e addomesticano i pini sulle cime, prostrati al suolo in una distesa aghiforme. Vista dal mare incute rispetto, domina imponente come un muro di cinta, selvaggia trattiene il mare tra le rocce.
Vi studiate in silenzio mentre l’aliscafo entra placido in porto.
Terra.
In ciabatte sulla pietra calda incontri prima un bar, poi, salendo, un tavolo di plastica all’ombra di una casa, con i quotidiani: è l’edicola, i giornali sono arrivati all’alba con la nave. Il cuore del paese è la superficie, poche vie, due incroci, un sentiero lungo il mare. Sull’isola non ci sono automobili né porte chiuse a chiave.
Imbocco una via, fuori da ogni ingresso una ceramica dipinta a mano riporta lucido e azzurro il nome di famiglia. Da una finestra socchiusa esce il profumo di caffè insieme alla voce flebile della televisione. Attraverso una piazzetta minuscola, ricavata da uno spiazzo tra due case. Sette bambini in costume giocano scalzi con una palla arancione. Qualcuno segue dall’alto la partita, affacciato dalle terrazze, tra le ombre fresche di sapone.
Al forno prendo un pezzo di focaccia all’origano avvolta in un foglio di carta oleata, la infilo in borsa insieme a due pesche noci fredde e una bottiglia d’acqua. Peppe mi aspetta al porto vecchio. Tenendomi per mano mi fa salire sulla sua piccola barca. Appende la mia borsa a un gancio e infila il sacchetto con il cibo in un secchio all’ombra.
Partiamo.
Ho sempre creduto alle mie parole più che ai miei ricordi, eppure non ho mai saputo trovare quelle giuste per raccontare quel pomeriggio, che nella mia memoria resta ancora una fotografia muta.
Un’epifania di blu.
Stordita di bellezza e sole attraverso il paese, le sedie di plastica fuori dalle case occupano le prime file sull’ora più fresca della sera, si riempiono di teste bianche che chiacchierano sottovoce, giocano a carte. Un bicchiere di vino, uno scialle leggero, la gente che passa. L’aria è impregnata di mare: le reti a riposo nel porto, il profumo di tonno arrostito nei ristoranti, l’odore secco della pietra che rilascia il calore del giorno.
Mi siedo sul muretto sopra lo scalo vecchio e guardo l’unico panorama possibile. Chissà cosa si stanno dicendo sottovoce la linea dolce del mare e il cielo, laggiù dove s’incontrano.