Di Bologna si sa che è bella, che gode, che ci si mangia benissimo. Ma Bologna è anche molto altro, detto in immagini e parole.
Una città è come una persona: ha un carattere. Se una città ha un carattere estroverso e accogliente come Bologna si può perfino arrivare a pensare che quell’immagine la descriva perfettamente. Si può insomma pensare che non vi sia altro e che quello abbia da mostrare e offrire Bologna al visitatore: il saper vivere, le belle vie, la gente sorridente, i negozi eleganti e l’opulenza delle gastronomie di via Orefici o delle Pescherie Vecchie.
Poi c’è la Bologna culturale: delle librerie, dell’università , dei circoli politici e del dibattito civile. E anche dell’impegno della Cineteca per il restauro e la conservazione delle pellicole storiche, non solo cinematografiche.
La più vecchia pellicola del mondo fu brevettata nel 1888 da Hannibal Goodwin. George Eastman gli rubò l’idea e la mise in produzione.
Le pellicole cinematografiche possono essere vecchie, vecchissime cose.
Possono essere state proiettate talmente tante volte da essere lacerate in più punti. Per non parlare della perdita di qualità che hanno sofferto con il passare del tempo e copia dopo copia. Ogni copia di una pellicola è sempre un po’ meno simile al suo originale: lo scarto di differenza è la qualità che si perde ogni volta che la si copia.
La Cineteca recupera e conserva in forma analogica e digitale migliaia di pellicole storiche ma opera anche come istituzione di conservazione di un patrimonio di immagini che appartiene al mondo intero. Nella sua biblioteca Renzo Renzi conserva infatti piĂą di un milione di foto storiche di Bologna, manoscritti di Pasolini, bozzetti di Charlie Chaplin e innumerevoli poster originali dei capolavori della cinematografia italiana e mondiale.
Quando una pellicola entra nel ciclo di restauro della Cineteca viene prima analizzata, poi riparata, reintegrata nelle parti mancanti e quindi digitalizzata. Da questo momento in poi il suo recupero diventa una questione di codici binari e di pazienza, certosina, lentissima, pazienza.
Acquisita la digitalizzazione, si è messa in sicurezza una copia finalmente immutabile dell’originale: ogni copia che si stamperà d’ora in poi sarà esattamente identica all’’originale poiché il digitale non soffre perdite di qualità .
La scansione di una pellicola raccoglie ogni informazione contenuta, compresa la polvere e i graffi. I segni del tempo e del degrado.
L’opera dei restauratori è quella di riportare indietro nel tempo il materiale che hanno fra le mani: è come se dovessero pulire, grattare, rimuovere la patina depositata dagli anni e dall’uso fino all’istante in cui quella pellicola venne stampata. Per farlo devono sapere come quella pellicola è stata prodotta: con che macchine da presa, su quale supporto, in che condizioni, come è stata conservata, con quali acidi è stata sviluppata.
Questo insieme di informazioni permette loro di riprendere a ritroso il sentiero che li condurrà all’origine di quel nastro traslucido, al momento zero, al primo fotogramma.
Per questo l’opera del restauratore è quasi filologica: deve conoscere infatti le tecniche di ripresa più diffuse al tempo in cui fu prodotta la pellicola su cui lavora, gli strumenti con cui fu ottenuta, persino qual era il gusto estetico prevalente al tempo: che tipo di viraggio e contrasto andava di moda, che dettagli si voleva rendere palesi, che sottigliezze il regista adottava.
Ogni fotogramma è analizzato, ripulito, bilanciato, confrontato con l’originale, paragonato ad altri simili del tempo, calibrato. E così per migliaia e migliaia di fotogrammi, utilizzando software dedicati e soprattutto una pazienza che ad un occhio esterno sembra pura alienazione.